La Sfortuna di un Autore

Il titolo non è per nulla paradossale: Albert Camus è certo un autore molto noto, enormemente letto e tradotto in decine di lingue, la cui fortuna letteraria, a tre generazioni di distanza dalla sua tragica morte, non sembra affatto declinare. Si può anzi oramai dire, con una certa sicurezza, che il suo nome è entrato nella ristretta cerchia dei classici della letteratura. In un altro senso, però, si può paradossalmente parlare di una specie di sua malasorte critica e di una enorme rimozione di molti aspetti della sua produzione intellettuale – particolarmente del suo pensiero politico e filosofico, la cui conoscenza, d’altronde, sarebbe necessaria per comprendere in pieno anche la sua stessa produzione letteraria. Non solo: anche alcune tematiche della sua produzione politico-filosofica – si pensi all’attualità di un suo tema quale il “pensiero meridiano” – spesso vengono interpretate in maniera del tutto avulsa dalla matrice originaria del pensiero che le ha prodotte. In particolare, il testo che maggiormente subisce questo processo è L’Uomo in Rivolta che – si veda l’introduzione italiana alla sua traduzione – sembra possa essere pubblicato solo se accompagnato da una qualche premessa che ne prenda le distanze. La cosa può essere spiegata attraverso la profonda inattualità – e qui questo termine è davvero preciso – del suo percorso umano, teoretico e politico.

Innanzitutto, si tratta dell’unico pensatore del Novecento espresso dal proletariato in senso stretto – figlio di operai, orfano giovanissimo con una madre analfabeta, poté studiare solo grazie all’aiuto economico dei suoi insegnanti – e non rinnegò mai le sue origini. Era considerato, persino dall’ambiente gauchiste, una sorta di parvenue del pensiero a causa delle sue abitudini di vita: ai caffè letterari frequentati dalla borghesia colta preferiva i bar dei quartieri proletari dove giocare a briscola, alle accademie universitarie le riunioni sindacali, ai concerti di musica classica gli incontri di calcio o di boxe. Tutto ciò venne tollerato finché egli restava all’interno del mainstream culturale dellambiente intellettuale borghese, sia pure di “sinistra”; divenne occasione di spocchiose maldicenze dette talvolta in modo esplicito – si pensi all’accusa sartriana di essere una sorta di autodidatta, di assai scarso spessore filosofico – più spesso a mezza voce, ma insistentemente, quando, con la pubblicazione de L’Uomo in Rivolta, se ne distaccò. Poi, partito da una posizione di matrice nietzscheana ne Il Mito di Sisifo, giunse ad una critica di quello che oggi si direbbe il “pensiero debole” ed irrazionalista, producendo nell’opera maggiore una prospettiva morale “cartesiana” di tipo fondazionalistico. Nietzsche, lo storicismo hegelo-marxista, l’esistenzialismo – insomma le correnti che stanno per divenire dominanti nel pensiero della seconda metà del Novecento – vengono sottoposte ad una critica razionalistica e spietata che, sia detto per inciso, mostrano un pensatore niente affatto sprovveduto in campo filosofico.

Infine, come se ciò non bastasse, partito da posizioni marxiste, a partire da L’Uomo in Rivolta si avvicinò sempre più all’anarchismo, ad una visione libertaria del socialismo e della lotta di classe. Il tutto in un clima culturale dominante internazionale che, già quand’era in vita e soprattutto dopo la sua morte, faceva il percorso esattamente inverso e che, ancora oggi, sembra non volergli perdonare la sua indipendenza di pensiero. Di quest’ultimo aspetto della sua “sfortuna” restano un notevole numero di articoli che egli scrisse dal 1949 al 1960 sulla stampa anarchica di lingua francese e spagnola (Défense de L’Homme, La Révolution Prolétarienne, Le Libertaire, Témoins, Le Monde Libertaire, Liberté, Reconstruir…). Articoli pressoché inediti fino a pochissimo tempo fa in lingua italiana e che mostrano un percorso umano e politico che porta lo scrittore francese, che ne L’Uomo in Rivolta ancora cercava una sorta di mediazione tra l’anarchismo e l’estrema sinistra della socialdemocrazia, a riconoscersi sempre più nel movimento anarchico. Se si scorrono cronologicamente i testi sopracitati, infatti, si vede Camus partire da un “voi libertari” per approdare al “nostro movimento”. Su ognuno di questi aspetti, la cultura borghese – anche nelle sue versioni di “sinistra” – ha sempre gettato un velo. Albert Camus era – ed è – decisamente per essa un autore scomodo.

Shevek dell’OACN-FAI

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